Lavoro estero

Regime impatriati 2025 e patto di sospensione del contratto

Con la risposta n. 142/2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito all’applicabilità del nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati, introdotto dall’articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209.  Nello specifico si conferma che, in linea generale, la stipula di un patto di sospensione del contratto non è di per sé causa ostativa per l’accesso al nuovo regime agevolato previsto dal D.lgs. n. 209/2023.

 Tuttavia, ai fini della concreta applicabilità dell’agevolazione, resta necessario verificare in fase di controllo tutti gli elementi di fatto e i requisiti soggettivi previsti dalla norma. Vediamo i dettagli del caso e la risposta 

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate

Il caso riguarda un cittadino italiano assunto da una società italiana dal 2007, successivamente distaccato all’estero in varie fasi fino al 2022, con incarichi svolti per un’altra società estera.

Nel gennaio 2023, l’interessato ha stipulato un patto di sospensione del rapporto di lavoro con la società italiana subentrata nel contratto originario, sospensione valida fino a dicembre 2025.

 Tale accordo è stato finalizzato per permettergli di accettare un nuovo impiego all’estero presso la stessa società in cui aveva già lavorato fuori dall’Italia. 

Il patto non prevedeva alcuna retribuzione né obblighi contributivi o assicurativi. 

A maggio 2023, l’interessato ha trasferito la residenza all’estero e intende rientrare in Italia a partire dal 2026, riprendendo il rapporto con il datore di lavoro sospeso. L’interessato possiede anche un titolo di laurea valido per dimostrare l’elevata qualificazione richiesta dal regime agevolativo.

Il dubbio sollevato riguarda la possibilità di accedere al nuovo regime agevolato per lavoratori impatriati a partire dal 2026, nonostante l’interruzione formale e temporanea del contratto tramite il patto di sospensione.

I requisiti indicati dall’Agenzia

L’articolo 5 del D.lgs. n. 209/2023 prevede che i redditi di lavoro prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale nel territorio dello Stato a partire dal 2024 concorrono alla formazione del reddito complessivo solo per il 50% del loro ammontare, fino a un massimo di 600.000 euro annui. Per poter fruire dell’agevolazione devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:

  • Il contribuente non deve essere stato fiscalmente residente in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti al rientro;
  • Deve risiedere fiscalmente in Italia per almeno quattro anni consecutivi;
  • L’attività lavorativa deve essere prestata in misura prevalente sul territorio nazionale;
  • Deve possedere una qualificazione o specializzazione elevata (ai sensi del D.lgs. n. 108/2012 e del D.lgs. n. 206/2007).
  • Il periodo minimo di permanenza all’estero può salire a sei o sette anni se il lavoratore è impiegato, prima e dopo il rientro, dallo stesso soggetto o da una società appartenente al medesimo gruppo, definito secondo l’art. 2359 del codice civile.

In base ai chiarimenti precedenti forniti dall’Agenzia (risposta n. 41/2025), per valutare il rispetto dei requisiti temporali di residenza estera è necessario verificare se il lavoratore presta la propria attività, prima e dopo il trasferimento, per lo stesso datore di lavoro o per un soggetto del medesimo gruppo. 

Se non vi è coincidenza, bastano tre anni di residenza estera; altrimenti, il minimo si eleva.

Patto di sospensione e regime impatriati: la posizione dell’Agenzia

Nella risposta n. 142/2025, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, per determinare l’accesso al regime impatriati, occorre anzitutto verificare se vi sia o meno coincidenza tra i soggetti coinvolti nel rapporto di lavoro all’estero e in Italia. In caso di mancanza di coincidenza (cioè, se le società non fanno parte dello stesso gruppo), il periodo minimo richiesto di residenza estera è di tre anni.

Nel caso in esame, il lavoratore rientrerà in Italia per riprendere il lavoro con la società con cui aveva sospeso il rapporto. Tuttavia, poiché non è possibile accertare nell’ambito dell’istanza di interpello se questa società e quella estera facciano parte dello stesso gruppo (ai sensi dell’art. 2359 c.c.), l’Amministrazione si limita a indicare che, in assenza di coincidenza tra i soggetti, l’agevolazione è accessibile con almeno tre anni di residenza estera. Inoltre, la stipula di un patto di sospensione del rapporto di lavoro, anche se prorogato, non rileva come ostacolo normativo per l’accesso all’agevolazione. Non essendovi specifici vincoli nella norma in merito a sospensioni contrattuali, questa circostanza non influisce sulla possibilità di applicare il regime agevolato.

L’Agenzia ha però precisato che non è di sua competenza accertare né l’effettiva appartenenza delle società al medesimo gruppo, né la residenza fiscale del lavoratore o la sua effettiva qualificazione specialistica: tali aspetti sono riservati all’attività di controllo e non rientrano nell’ambito applicabile all’interpello.

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